venerdì 25 dicembre 2015

L'ANIMA FRANCESCANA DEL B. CONTARDO FERRINI di P. Carlo Balic

Intervento di P. Carlo Balic OFM per convegno del 1947, in occasione della beatificazione di Contardo Ferrini, organizzato dalla Pontificia Università Antonianum di Roma.

Leone XIII e la Milizia serafica: il Terz'Ordine Francescano

Medaglia con ritratto di Leone XIII
del 1882, anno in cui il papa terziario
francescano emanò l'enciclica
Auspicato Concessus
(Enciclica in  PDF scaricabile)
Contardo Ferrini terziario francescano
Non si può comprendere appieno la genesi e la portata della vocazione francescana del Beato Contardo Ferrini se il nostro pensiero almeno fugacemente non si riporta a quel grandioso movimento terziario che Leone XIII volle e promosse sullo scorcio del secolo XIX.
Preoccupato seriamente dei gravi mali che affliggevano la società, l'immortale Pontefice comprese colla sua mente lungimirante che solo il Terz'Ordine francescano - quale forma eletta di vita e d'apostolato direttamente promanante dal Vangelo - poteva esserne il più sicuro ed efficace antidoto, in quanto che solo esso poteva riportare la vita religiosa nella vita dinamica del secolo moderno e indirizzare così la società, verso più equi e cristiani ideali. Ed ecco che con discorsi e inviti pressanti, con atti pubblici e privati, soprattutto colla grande enciclica Auspicato concessunt, del 17 settembre 1882 - anno sette volte centenario della nascita dell'Assisiate - lancia ai quattro confini della terra l'idea geniale di una crociata serafica, di una mobilitazione di tutte le più sane energie cattoliche nello spirito e sotto i bianchi vessilli di quel Terz'Ordine della Penitenza, dei cui benefici effetti è così ripiena la storia d'Italia, dell'Europa, del mondo. "È un fatto - costata il Papa francescano - è un fatto che "la pace domestica e la tranquillità pubblica, l'integrità, dei costumi e la concordia e il retto uso e la conservazione del patrimonio, che sono i fondamenti migliori dell'incivilimento e delta stabitità degti Stati, escono, come da una radice, dal Terz'Ordine francescano e I'Europa deve in gran parte a Francesco la conservazione di questi beni" (Leone XIII, Acta III, Roma 1884, 151-152).
"Procurate - grida perciò il saggio pontefice - procurate che il Terz'Ordine venga conosciuto dal popolo e lo stimi per ciò che vale... Oh! Se i cristiani di oggi accorressero al Terz'Ordine colla stessa alacrità e frequenza con cui accorrevano da ogni parte a Francesco medesimo!" (Leone XIII, Acta III, Roma 1884, 155).
E il mondo cattolico non fu sordo ai reiterati appelli di Leone XIII: sotto la forza potente del suo alto esempio e della sua augusta parola, una ondata di seraficità accarezzò le anime, l'Italia, il mondo; e parvero veramente rinnovarsi quegli episodi commoventi dei tempi di S. Francesco, quando - come riferisce la Vita prima (biografia di Tommaso da Celano, ndr) - molti del popolo, nobili e plebei e cioè uomini di ogni grado, sesso, stato e condizione sociale, venivano entusiasti a far parte del suo Terz'Ordine secolare, desiderosi di ritrovare nella regola tracciata dal Santo la via e la vita dello spirito e del Vangelo.

Per notizie più dettagliate
sull'appartenenza
di Contardo Ferrini al
Terz'Ordine Francescano, oggi
Ordine Francescano Secolare,
si veda il profilio biografico
Contardo Ferrini fu tra questi. Di ritorno dal biennale "esilio" di Berlino, dove, a contatto coi fratelli dissidenti e coi grandi esponenti dell'ardente reazione cattolica all'oppressione del Kulturkampf, si era consolidato e raffinato nell'integrità della sua virtù, illuminato e rinvigorito nella fermezza della fede, "avvertì subito colla sua squisita sensibilità iI nuovo clima di francescanesimo che inororava i cattolici militanti d'Italia: e lui, che già altre volte aveva accarezzato I'idea di entrare in un Ordine religioso: lui che nel battesimo aveva ricevuto come terzo nome, quasi presagio, quello di Francesco, non trovò alcuna difficoltà, dopo qualche tempo, di iscriversi al Terz'Ordine francescano".
A Milano, sulla porta laterale della basilica di S. Antonio in via Carlo Farini, v'è una lapide che, nelle brevi parole, segna tutto il poema della vita del Ferrini francescano:


QUI
CONTARDO FERINI
VESTI' LE SERAFICHE LANE
IL 6 GENNATO 1886
PROFESSO' LA REGOLA NEL TERZ'ORDINE
IL 6 GENNAIO 1887
ATTINGENDO NELLO SPIRITO
DEL POVERELLO D'ASSISI
IL SEGRETO DELLA SUA SANTITÀ

Al momento della sua, vestizione il Beato aveva appena ventisette anni e da poco aveva iniziato brillantemente la sua carriera professionale. Più tardi - e precisamente il 6 gennaio 1899, anniversario della sua vestizione - anche il padre, prof. Rinaldo, per espresso invito del figlio, vestì l'abito francescano; e quando il 17 0ttobre 1902 contardo rese a Dio, la sua anima bella, il prof. Rinaldo tolse il cordone francescano che cingeva i fianchi del figlio, per cingerne i suoi. Nessun dubbio quindi sulla reale appartenenza del novello Beato alla grande famiglia serafica.
 

stendardo con S. Elisabetta d'Ungheria_Fraternità OFS-santuario S. Antonio_Milano
Stendardo con S. Elisabetta d'Ungheria
protettrice del III Ordine francescano,
della Fraternità OFS di Milano,
cui appartenne Contardo Ferrini,
che ha sede presso la
Basilica di S. Antonio di via Farini.
Ma - ed è quello che più conta - l'iscrizione e la professione nel Terz'ordine del Ferrini non furono semplici cerimonie, ricche soltanto di passeggere emozioni e di vaghi sentimenti, sebbene una consacrazione ufficiale alla forma vitae francescana. "per amore di perfezione cristiana - dice appunto il decreto del Tuto per la sua beatificazione - professò la regola del Terz'ordine di s. Francesco" e cioè - come si legge nell'iscrizione sopra citata - per attingere "nello spirito del Poverelo d'Assisi il segreto deila sua santità".
Ed egli fu sempre fedele nel seguire il suo ideale francescano. "Contardo - dice un teste - si tenne sempre onorato di appartenere al Terz'Ordine del poverello, manifestandone più volte la sua intima contentezza, perchè vi aveva trovato una grande e gloriosa scuora di perfezione, che ha dato alla Chiesa, lungo i secoli, una luminosissima costellazione di santi". Un altro teste aggiunge: "Contardo mi assicurava che adempiva fedelmente le prescrizioni della regola". E il Decreto apostolico sulle sue virtrì eroiche conferma: "Nel 1886 si ascrisse al Terz'Ordine di s. Francesco e ne osservò la regola con grande diligenza".
Ci piace riportare anche il giudizio del postulatore della causa di beatificazione: "Il terziario Prof. Ferrini prese molto sul serio la sua appartenenza all'Ordine serafico, Ia quale non importava soltanto l'obbligo della recita quotidiana di determinate preghiere, ma tutta una regola di vita ehe egli si tracciò e mise in esecuzione senza indugio".

Il Regolamento di vita e gli Scritti religiosi

Tale esemplare e incondizionata fedeltà ispirò al Ferrini quel Regolamento di vita, scritto quando era già professore, il quale fu giustamente giudicato come "un programma spirituale di squisita ispirazione francescana" (cf. biografia del Peruffo, 69, 72), o addirittura "un riflesso, una trasposizione, quasi una nuova redazione della regola terziaria" (cf. biografia dell’ Anichini, 49-51).
Ma io direi che tale scrupolosa adesione alla regola e allo spirito di San Francesco la si riscontra, aperta e palpitante, in tutte le pagine dei suoi meravigliosi Scritti religiosi, in tutti i momenti della sua multiforme e pur così giovane esistenza. Sia che scriva, sia che agisca, lo sguardo pensoso del Beato è rivolto sempre e dovunque al Poverello, suo maestro e suo padre: ne emana il profumo, ne riecheggia gli insegnamenti, soprattutto ne segue docilmente le orme nelle mistiche ascensioni verso il divino.
 

Spiritualità cristocentrica
B. Contardo Ferrini
alla processione del "Corpus Domini"
immagine tratta da
"Un Astro di scienza e di santità"
di Guido Anichini (1947)
Un attento, se pur fugace, accostamento e parallelismo tra la spiritualità di s. Francesco e quella del B. Contardo sta a confermare la nostra convinzione. Centro della pietà serafica - come si sa - è I'amore ardente verso I'Umanità sacrosanta di Gesù cristo e la devozione sentita verso i suoi misteri dolcissimi : soprattutto verso il Natale, il nome di Gesù, il Calvario, la Madonna.
E noi vediamo che anche il Ferrini sentì con ardore appassionato questa pietà cristocentrica; aI grido di Francesco: "Deus meus et omnia!", egli fa eco : "Nostro dovere è d'innestarci in Lui, come tralci alla vite, di vivere la sua vita, sicché Ei viva in noi e noi in Lui!" (A Paolo Mapelli, 16 gennaio 1881 e 8 giugno 1881). La sua giaculatoria preferita era questa : "Diligam te, sicut ditigor a te !" (cf. Ferrini C., Schemi di meditazione: Festa del S. Cuore, in Scritti religiosi).
Nell'Incarnazione egli vedeva - come tutti i grandi maestri della scuola francescana - soprattutto il trionfo della carità inesauribile di Dio, la manifestazione più grand
e della gloria di Dio, dopo quaranta secoli finalmente lodato e glorificato adeguatamente dal labbro e dal cuore di un uomo, dell'Uomo-Dio. "Avrà forse Iddio bisogno delle lodi umane?" si chiede il Beato che risponde con sicurezza: "Ma il Verbo incarnato, coeterno a Dio e coeguale a Lui, Dio da Dio, Lume da Lume e Dio vero da Dio vero, renderà, nei giorni della Sua carne, secondo I'energica parola di Paolo, grato ossequio all'Onnipotente... Per la prima volta un uomo può lodare degnamente il Signore... Oh grazie, o Signore, che noi possiamo renderti gloria di Cristo, pontefice eterno!" (cf. C. Ferrini, Novena del S. Natale, giorno 9: Il canto degli angioli).
Come Francesco a Greccio, anche Contardo, dinanzi alla patetica scena di Betlem, si animava tutto e si emozionava. "Oh povera stalla - scriveva - nel freddo notturno nasce il Salvatore! Oh divin franciullo, quanta povertà, quanta umiliazione volesti intorno alla tua culla! ... Oh almeno oggi, avanti alla povera culla di Betlem, sentiamo il nulla di tutto quanto è transeunte, la grandezza di ciò che è eterno, siano nostre le
parole di Davide : Il Signore è la mia sorte, è la mia parte d'eredità !".
(cf. Ferrini C., Novena del S. Natale, giorno 7: La nascita del Verbo, in Scritti religiosi).

Il Nome di Gesù
Da S. Francesco e da S. Bernardino aveva ereditato la tenerezza e la devozione verso il Nome di Gesù, "quel nome - scriveva - che è sopra ogni nome, il nome del nostro Sposo" (A Vittorio Mapelli, 5 gennaio 1882). Egli lo vedeva e lo leggeva scritto dappertutto: "Noi vogliam leggere dappertutto quel nome venerato e caro" (cf. Ferrini C., Un po' d'infinito!, c. 3); ne festeggiava la festa con sentimenti di particolare devozione (cf. A Vittorio Mapelli, 5 gennaio 1882); "soprattutto ne pregustava tutta la poetica bellezza, tutta la melliflua dolcezza: "Bello - esclamava emozionato il Ferrini - tra i figli degli uomini, soave come unguento è il suo nome : le vergini ti hanno amato!... Comè bella questa parola della Scrittura! Io la direi mille volte. È il profumo virgineo davanti a Gesù!" (cf. Ferrini C., Sul recente positivismo nella vita pratica).

Ai piedi della croce

Una passione speciale nutriva il Beato per la passione di Cristo. Come lo Stigmatizzato della Verna, anche egli fremeva di dolore e di amore per iI Crocifisso; frequentemente, in modo particolare nelle lunghe notti di preghiera, e nelle domeniche nelle quali era solito praticare la devozione tutta francescana della Via Crucis (cf. Ferrini C., Regolamento di vita, 173), ne meditava i dolori atroci, e ogni giorno - si può dire - chiedeva a Dio la grazia della sofferenza, onde completare e accompagnare e quasi ricambiare l'immolazione del suo Signore. "Non ti pare - scriveva ad un amico - che se noi possiamo offrirgli un nostro dolore e dirgli: È per te, o Cristo, amore per amore, tenetezza per tenerezza... Non ti pare che ne verrebbe consolato quel Cuore afflitto per I'ingratitudine degli uomini?... Non proveremo noi vergogna di vedere Lui pendente in croce nello spasimo e nell'obbrobrio e non avere da parte nostra almeno un dolore?" (A Paolo Mapelli, 20 marzo 1881).
E nel Programma di vita scriveva delle parole commosse e sublimi, che sembrano bellamente parafrasare l'immortale scena del perfectum gaudium : “Oh! dolcezza, sarei per dire, delle lacrime, se possiamo versarle ai piedi del Crocifisso!”. E che dire della sua pietà, della sua devozione mariana? Parlando della Madonna, egli la vede soprattutto unita, quasi tutt'uno con Cristo: Gesù è “il benedetto frutto di Maria “ (in Novena del S. Natale, giorno 1: L’aspettazione del Verbo), è “in senso verissimo e sublimissimo carne della sua carne, ossa delle sue ossa” (in Novena del S. Natale, giorno 5, Il Verbo in Maria). Ma in funzione di questa divina maternità, egli esalta anche la sua maternità spirituale per gli uomini. “Esercitò tale ufficio - scrive - il dì del fiat e il dì in cui presentava al tempio Gesù... ma più che mai al Calvario” (in Ferrini C., Schemi di meditazioni. Maria prepara gli apostoli alla Pentecoste).

E ancora : “Ella intercedette il vino a Cana... ella ottenne tanto! Che farà poi ora con chi I'ama e le chiede tesori d'immortalità?” (in Ferrini C., Schemi di meditazioni. Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù). Perciò conclude : “Se la via che conduce al cuore di Gesù è ardua e lunga, uno sguardo al cuore di questa Madre, e coraggio!".
Con una eloquenza tenera e ardente il Beato si indugia pure nello studiare o meglio cantare le virtù e le prerogative di Maria. (Specialmente ne parla nella Novena del S. Natale). Tra queste egli esalta particolarmente I'umiltà profonda, la purezza liliale, la virginità, intemerata, e, come era naturale in un’anima francescana, l’Immancolata concezione. ”Il  serpente infernale - scrive a proposito di quest’ultimo privilegio mariano - non potè mai turbare quell’anima benedetta, cui non incolse pur la macchia prima d’un fallo incosciente” (in Novena del S. Natale, giorno 2, L’Annunciazione del Verbo).


Devozione mariana
Ma egli fu soprattutto il devoto di Maria.  Quotidianamente le faceva una visita in qualche chiesa e recitava la corona del Rosario, che teneva sul tavolo di studio; qualunque azione o conversazione egli l’incominciava coll’Ave Maria; le sue lettere spesso le terminavano colla raccomandazione che il destinatario lo ricordasse “alla cara, amorosissima Mamma nostra”; era assiduo al mese di maggio e, per sua stessa confessione, provava “un gaudio speciale nei giorni in cui si fa menzione di Colei, che bella come la luna, eletta come il sole, che è madre del bello amore, della scienza di Dio e delle speranze immortali, umile ed alta più che creatura” (in Ferrini C., Un po’ d’infinito).



Contardo Ferrini e San Francesco
Gesù Cristo è dunque il centro propulsore della vita spirituale, della pietà dell’Araldo del gran Re e del suo nuovissimo Cavaliere. Resta a vedere il modo in cui viene concepita e attuata la nostra mistica ascensione verso di Lui. Ed ancle qui scorgesi una meravigliosa comunanza e cortelazione tra il Padre serafico e il figlio terziario.
Per s. Francesco l’amore cristocentrico non è qualche cosa di astratto, di teorico, non è un vago sentimentalismo è soprattutto prassi, concretezza, e cioè spasimo costante e fattivo, tendente all'imitazione, alla conformita intima e profonda coll'amato, con Cristo.
Ora, nella concezione francescana, l'amore perfetto a Cristo esige innanzitutto - come conditio sine qua non - la rinunzia a tutto e a se stesso, e cioè con lo spogliamento totare di ogni bene terreno insieme al sentimento ben radicato della propria nullità, in altri termini, come si esprime p. Gemelli (ne Il Francescanesimo, Milano, 1933, p 428), la negazione del mio insieme alla negazione dell’io.  Da qui si spiega la passione ardente del poverello per Madonna povertà, e la sua profonda umiltà, quale traspare dagli aurei Fioretti. Non diversamente la pensava il Ferrini, il quare scriveva: “La trasformazione nostra in Lui, ecco il fine della prece cristiana!” (Ferrini C., Programma di vita, p 86). E anche per lui la povertà, era una prima forma per amare Cristo, per perdersi e identificarsi con Lui.
Rifletteva spesso sulla vita povera di colui che “ha fatto sua delizia la povertà”(in Novena del Santo Natale, giorno 7: La nascita del Verbo). Aveva un vero terrore per i falsi e caduchi beni della terra: “Son fango ... i beni del mondo, che pure impediscono in tanti modi quell’annientamento di sè e quella consrazione a Dio, che sono i requisiti della salute” (in Novena del Santo Natale, giorno 7: La nascita del Verbo). In uno dei suoi proponimenti scriveva: “Amerò la santa povertà e cercherò di praticarla nel rispetto ai poveri, nel vedere lietamente le perdite e altri danni, nell'abito, nel donare cose superflue”  (in Novena del Santo Natale, giorno 7: La nascita del Verbo).

Ed egli infatti - pur rispettando le esigenze della sua posizione sociale - fu veramente povero, come ogni buon terziario deve essere. Mai amò la ricchezza, solito a domandarsi nel suo esame di coscienza: “Non provo immoderati desideri di felicità terrena?” (cfr. Regolamento di vita, p 7).  “Quando si leggono queste parole – commenta mons. Pellegrini nella biografia dedicata al Contardo – pare sentire l’eco lontana delle mistiche nozze di San Francesco con la Povertà, cantate dalla penna di Dante e dipinte del pennello di Giotto”.  Rifuggiva invece le comodità della vita soprattutto evitava e disprezzava il lusso e la raffinata eleganza. “Non capisco - soleva confidare agli amici - come un giovane possa perdersi in un paio di scarpe e buttare il tempo nell'accomodarsi la cravatta!”.
E come fu povero, così fu umile. L'umiltà era per lui un altro modo per assimilarsi con Cristo: “Per ora altro non ti chiedo, o Signore, - così pregava - che un cuore umile e contrito, per essere come te dolce e umile di cuore” (in Ferrini C., L’Eucaresita come mezzo di perfezione morale, parte 1, preparamento 2) ; I'umiltà era anche per lui la seconda strada per la quale è possibile e facile raggiungere il divino. “È terribile verità! - scrive infatti - Quella scienza che parrebbe la strada all'infinito, non lo scorge, se non è fondata nella più semplice umiltà, ma travia e devia!... La strada all'infinito è l'umiltà, la virtù più accessibile a tutti” (in Ferrini C., Un po’ d’infinito! c.2). Ma che cos'è l'umiltà? Egli risponde: “L'umiltà è verità, non altro che verità e quindi l'unica dignità della vita... L'umiltà è nel conoscere tutta la nostra miseria la nostra fragilità” (in Ferrini C., Il programma di vita).
Per il nostro Beato è questa una virtù fondamentale, principio e sorgente delle altre virtù. Infatti “I'umiltà - egli ci insegna - che è il profumo ascoso della virtù che ascende solitario a Dio, nei rapporti coi nostri fratelli, produce la mansuetudine, la dolcezza, la cortesia” (in Ferrini C., Il programma di vita) E come insegnava, così praticava.
Egli era un’arca di scienza: eppure non ne faceva alcuna ostentazione. Le sue lezioni e le sue produzioni giuridiche erano seguite col massimo interesse dal mondo scientifico: eppure aveva tutta l’aria di chi volesse vivere ignorato e disprezzato da tutti. “Ciò che più colpiva del Ferrini - attesta il Toniolo - era la grande umiltà, tanto più grande quanto maggiore era la sua dottrina, la sua bontà, i suoi meriti”. E Pio XII, nel discorso tenuto in Vaticano il 14 aprime 1947, conferma: “Si considerava (il Ferrini), dinanzi alla santità, del vero, non come un vanitoso saccente, ma soltanto come un modesto scolaro, egli che pure... era divenuto padrone e maestro della sua materia”. 


L'amore per i fratelli
Ma l'itinerario francescano verso il divino non è terminato. Nell'ascetica e mistica serafica altre due sono le ali potenti che permettono all'anima di salire fino a Dio, sino a Cristo: l’amore cioè dei fratelli e la contemplazione gioiosa e ottimistica del creato.
Per S. Francesco amare I'umanità crocifissa di Cristo è amare il prossimo, è amare anche i lebbrosi; darsi a Cristo vuol dire darsi anche generosamente al Suo corpo mistico. Così per il Ferrini. Egli si domanda quali siano i nostri rapporti che ci devono legare ai nostri fratelli, e risponde: “Sarebbe tutto detto in una parola: riguardare negli altri Cristo! I nostri fratelli sono l’immagine del Padre nostro e sotto le loro spoglie s'asconde il Salvatore! Vi è bisogno di più per esercitare la nostra tenerezza? per farci esclamare con Paolo che ci spinge, ci incalza, che non ci lascia tregua la carità, di Cristo?” E in un secolo di violenza, di egoismo e di odio il Ferrini passò sulla terra come dolce fugace visione di bontà, e di dolcezza, come il buon samaritano, come I'angelo tutelare della carità! Sin da giovane partecipò vivamente e assiduamente alle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli, istituite dal terziario francescano Federico Ozanam, dopo le lezioni alI'università era solito aggirarsi tra i vicoli e i tuguri della città, in cerca di poveri e di ammalati da aiutare, illuminare, confortare; e ogni sera, nell’esame di coscienza, si domandava: “Come ho circondato il povero, che al vivo rappresenta Cristo?”. Ben disse perciò un giorno, l'allora Card. Eugenio Pacelli, nella orazione commemorativa pronunciata alla Pontificia Università Gregoriana dell’8 febbraio 1931, quando definì il Ferrini come “uomo grande... nell’ardore serafico della carità” (vedi Osservatore Romano dell’8-10/02/1931).

L'amore per le creature
Ma la carità serafica non può nè deve limitarsi soltanto all’amore degli uomini. Anche le creature inferiori e irragionevoli come il sole, i fiori, gli uccelli hanno l'impronta e I'immagine del creatore: e nella spiritualità francescana anch'esse perciò vanno considerate come fratelli e sorelle da amare e come gradino importante per salire in alto. Scriveva di S. Francesco il serafico S. Bonaventura: “Intuiva nelle cose belle la bellezza infinita e in tutti i riflessi creati perseguiva I'amato, di tutto facendosi scala per apprendere colui che è in tutto desiderabile” (Bonaventura, Legenda maior S. Francisci Assisiensis, c 9 n.1). Solo così si può spiegare la bella, ineffabile sinfonia del Cantico delle Creature. E ancora il Card. Eugenio Pacelli, nel citato discorso, disse il Ferrini “grande… nel vivo sentimento della natura che amò nelle sue creature”.
Ora anche il Ferrini può ben dirsi il cantore cristiano della madre natura, figlia e specchio della divinità. “L'intero universo - egli diceva - è il poema di Dio e predica I'onnipotenza, la sapienza, la tenerezza di Lui!” (in Ferrini C., Un po’ d’infinito! c.3)E aggiungeva : “Il sentimento della natura, questa preziosa dote delle anime privilegiate, dovrebbe avere una grandissima parte nella nostra educazione. Davvero in quei contatti colla natura sentiamo la vicinanza a Dio, contempliamo le meraviglie di Lui... Felici coloro che sono chiamati a questa scuola robusta ed efficace!” (in Ferrini C., Un po’ d’infinito! c.3). Soprattutto le bellezze dell'alta montagna contemplate nelle frequenti scalate che faceva alle nivee cime delle Alpi, lo rendevano ebbro di celesti armonie, di poesia commossa, di ansie sovrumane. “È bello sentire - scriveva a Paolo Mapelli il 17 settembre 1885 - da una cima solitaria di un monte quasi il solenne avvicinarsi di Dio e contemplare anche nella natura selvaggia e severa il perennemente giovane sorriso di Dio”.
 

La Perfetta Letizia
E questo sorriso di Dio nelle creature egli sa trovarlo e tradurlo in continua dolcezza e serenità del suo spirito, ricco sempre, cone quello del Poverello d'Assisi, giullare di Dio, di gioia e di gioconda letizia. Letizia che continuamente chiedeva, come una grazia, da Dio. “Il nostro cuore - aveva invocato - sovrabbondi di gaudio nella pace di Dio e la tua benedizione ci accompagnerà tutta la vita e il nostro spirito sarà sempre giovane, com'è perennemente giovane il suo sorriso!” (Lettera ad Ettore Cappa, 18 febbraio 1882). Letizia vera, di cui ancora una volta il Cristo è considerato francescanamente il principio e la sorgente: “La nostra ilarità, - scriveva - è una fede nelle sue promesse ineffabili, una gioia della sua amicizia, un'esultanza per la sua bontà e per la sua gloria. Sursum corda!” (in Lettera a un amico lontano da Dio). E sulle mistiche altezze di Cristo, lo spirito di Contardo trovava l'incantevole festa della vita, che dava il grande respiro aIIa sua giovinezza.
Lungi dall'essere un arcigno giansenista o un rigido penitente della Tebaide, egli fu veramente una luminosa, sorridente anima serafica, un giullare moderno del buon Dio! “Brillò sul suo volto - ebbe a dire Pio XI - una perenne giovialità, che non disparve mai fino alla vigilia della sua dipartita“.

B. Contardo Ferrini sul letto di morte
immagine tratta da
"Un Astro di scienza e di santità"
di Guido Anichini (1947)
“Si sta bene vicino a Dio !”.
Sì, fino alla vigilia della sua dipartita; perchè anche il pensiero della morte - seguendo sempre il pensiero e l’esempio del Serafico - gli infondeva un'indicibile giocontlità. “Ci suona dolce, o Gesù - ebbe ad esclamare una volta - la santa tua parola : un poco ancora, e mi vedrete: presto declinano le ombre notturne, presto fugge rapido il giorno e verrà la sera della nostra vita. Noi non piangeremo, come coloro che non hanno speranza; noi ci allieteremo, perchè è vicino il compimento delle tue promesse... O santa felicità nostra, o esultanza, o pace della nostra vita se, condotta nel tuo spirito, finirà nel tuo amplesso soave! O benedetta morte, se è principio dell’immortalità!” (in Ferrini C., L’Eucarestia come mezzo di elevazione morale, parte 2, preparamento 1).
E fu proprio così. Quando, in quel lontano 4 ottobre 1902 - festa di S. Francesco - tentando per l’ultima volta l’ascensione del monte Rosso, avvertì nell’improvviso malore che l'incolse il segno non dubbio della chiamata di Dio, il Ferrini non si scompose, ma col suo serafico Patriarca salutò sorella anche la morte. Dopo alcuni giorni francescanamente morì “calmo e sereno” come attesta il padre, cinto del cilizio e del cordiglio serafico, dopo aver sommessamente confidato al sacerdote : “Si sta bene vicino a Dio !”.

Contardo Ferrini gemma del laicato Francescano Secolare
La santità, è di tutti i tempi e per tutti gli uomini, ed essa è utile a tutto, alla vita eterna come a quella temporale. Questa grande verità, questo messaggio proclama oggi dai nostri altari un dotto professore di Università, un santo forgiato alla moderna, un uomo che sotto i vestiti moderni porta e nasconde la corda del francescano. Per cui noi oggi mentre celebriamo la modernità, clel vecchio e sempre nuovo cristianesimo, celebriamo anche il vecchio e sempre nuovo francescanesimo, che del Vangelo è I'espressione più pura.
  • Il Ferrini, gemma del laicato e della sempre moderna laicale milizia serafica, che è salito nella gloria del Bernini in frack (da una definizione che di lui dette Benedetto XV, nrd), dimostra la perenne ed universale vitalità del cristianesimo e del francescanesimo; dimostra che la santità è un fiore che si può cogliere in tutti i giardini della Chiesa; dimostra che l'uomo può essere credente perfetto e perfetto francescano anche se perfetto scienziato, anche se professore d’Università laica o Iaicizzata che ignora gli antichi splendori di santità. In modo particolare il Ferrini mostra come si può amare la santa povertà, come la amava Francesco, e nello stesso tempo adattarsi alle esigenze dell’ambiente, della professione, delle altissime cariche nella vita pubblica (fu assessore al Comune di Milano, nrd). 
  • Il Ferrini mostra come I'umiltà, cristiana non neghi i talenti di Dio e la verità; come la vita del cristiano nascondimento non escluda la consapevolezza del proprio valore: quella consapevolezza, per la quale Contardo seppe affrontare nel campo scientifico due sommi, come Mommsen e Pernice, e seppe vincerli; quella consapevolezza, per la quale aveva, concepito e accarezzato il nobile disegno di dare all'Italia il primato negli studi romanistici (di Diritto Romano, ndr). 
  • Il Ferrini mostra con quale felice contemperanza si possa, accordare la nostra interiore sete di perfezione morale e intellettuale coll'esercizio dell'apostolato sociale e col senso più vivace e poetico della natura. Il Ferrini ci mostra in una parola come sia incomparabilmente bello e così facilmente attuabile anche nel nostro quotidiano tormento quel grande ideale cristiano-francescano, che è soprattutto amore, e che costituì tutta la sostanza e la ragione ultima dalla sua nobile esistenza. Io termino osservando con P. Gemelli che il Ferrini non fu isolato al suo tempo: non fu isolato come dotto e santo, e, giova ricordarlo, nemmeno come dotto, santo e francescano.
Questi tre caratteri che compendiano la sua vita, compendiano ed illuminano ancora la vita di numerosi altri che attendono di salire anch'essi alla gloria degli altari, quali: il beato Giuseppe Toniolo, I'interprete devoto dell’alta parola sociale di Leone XIII nell'Università di Pisa e (i servi di Dio:), Giulio Salvadori, iI cantore delle più fulgitte tradizioni italiane e francescane; Vico Necchi, il riformatore dei corpi e delle anime; Cesare Guasti, l'artista cristiano della parola; Giosuè Borsi l’eroe della fede e della patria; e con essi rivestito di autentico francescanesimo, iI ferroviere santo ed apostolo di Gesù Eucaristico: venerabile Pio Pedrazzo.
Francesco di Assisi, vive così non solo nelle poetiche pagine dei Fioretti, negli immortali affreschi di Giotto, nelle sublimi terzine di Dante, e nelle luminose leggende dei santi e sante delle età passate, ma coll'ideale ch'egli predicando nella sua verde Umbria, nelle contrade belle dell'Italia e del mondo, vive anche nel secolo nostro negli umili e nei grandi, nella semplice gente della campagna o della città non solo, ma anche nell'animo dei dotti e dei professori d’università, che colla semplicità della vita francescana sammo congiungere mirabilmente i più alti fulgori del sapere e della scienza.

P. Carlo Balic

Testo estratto da: Miscellanea Contardo Ferrini, Conferenze e studi nel fausto evento della sua canonizzazione, Bibliotheca Pontificii Athenaei Antoniani, Roma, 1947.

Fonte principale del presente studio sono gli Scritti Religiosi di Contardo Ferrini servo di Dio, pubblicati da Mons. Carlo Pellegrini nella Biblioteca dei Santi vol.20, Milano 1926; nonchè le numerose e pregevoli biografie del Beato, tra le quali: Pellegrini C., La vita di Contardo Ferrini, Torino 1920; Anichini G., Un astro di santità, e di scienza, Roma 1947; Peruffo A., Contardo Ferrini, Roma 1947.